In questi giorni Roma è scossa dalla scoperta dell’esistenza nella capitale di una ” Mondo di mezzo di mezzo”. Uno spazio in cui interesse generale e personale si mescolano ad arte, in cui malavita e politica parlano la stessa lingua, in cui destra e sinistra sono direzioni che portano dalla stessa parte: l’intimidazione, la corruzione, il lucro, la volgare appropriazione di tutto ciò che dovrebbe essere dovuto, da parte amministrativa, cioè l’assistenza a chi non ce la fa, la cura dell’ambiente e degli spazi pubblici.

Noi la mafia romana non la scopriamo dalle intercettazioni telefoniche e dagli atti giudiziari, ma l’abbiamo guardata in faccia. Era il 2003 quando in tanti reclamavamo la necessità di un’economia diversa per dare un futuro diverso alla città e al nostro Paese. Grazie ad un impegno pubblico di 5.000.000 di euro, l’antico mattatoio di Roma, un luogo abbandonato e allo sfascio, venne ristrutturato e diventò la Città dell’Altra Economia (CAE), che per qualche anno ha aperto uno spazio di concretezza a questo sogno.

Nel 2012 però, quando si trattò di riconoscere quel percorso e dargli stabilità, più di 30 realtà sedute attorno al Tavolo di progettazione partecipata per il rilancio della CAE e che da anni lavoravano ad una nuova struttura condivisa, cominciarono a veder circolare per il Campo boario alcune di quelle facce imbarazzanti che da anni, senza troppa discrezione, avevano cominciato a portare le logiche e le pratiche della “Terra di mezzo” nella “Terra di tutti”.

Alle pratiche del “progetto partecipato”, del cantiere aperto e pubblico con i soggetti dell’altra economia italiana, ma anche con tutte e tutti quelli che volevano veder vivere e crescere l’Altra Economia in città, dalle istituzioni cittadine, ma anche da alcune delle realtà che cominciavano a intravedere nel potere e nell’arroganza della “Terra di mezzo” un’opportunità per far prevalere in quel luogo i propri interessi rispetto ai progetti di tanti, si videro contrapporre la logica del bando, dell’appalto, della cordata. Pratiche, come apprendiamo di verbali dell’inchiesta giudiziaria, che di per se’ sono proprie dell’economia di mercato, ma in realtà da anni a Roma e dintorni erano lo strumento principe dell’inciucio che porterà, di lì a poco, anche alla spartizione della CAE tra la destra politicamente più aggressiva di Alemanno e la ‘realpolitik’ di alcuni pezzi della sinistra e delle relative propaggini economiche.

La cordata improvvisata e anomala che strappa la CAE alle numerose realtà dell’economia sociale e solidale che stavano da anni definendo insieme il percorso e la destinazione d’uso di quello spazio, denigrando e deridendo il trasparente e onesto percorso, vede operare insieme realtà economiche storiche del centro sinistra e astri nascenti dell’economia predatoria del centro destra. Abbiamo visto nascere e denunciato a mezzo stampa l’accordo raggiunto tra AIAB Lazio, Agricoltura Nuova, Cooperativa 29 giugno ed il braccio economico e sociale della destra rampelliana alla quale l’assessore ai lavori pubblici di allora faceva riferimento, ovvero la cooperativa Integra.

Un copione antico da prima repubblica e da spartizione di potere che ora non si potrà più nascondere dietro il volto ed il lavoro dei molti produttori ecocompatibili o biologici che con onestà e trasparenza hanno in quegli anni aiutato la Città dell’altra economia a divenire un punto di riferimento per molti romani. Utilizzare la loro faccia per nascondere agli occhi dei cittadini un accordo sporco e lesivo dell’immagine e della storia dell’economia sociale e solidale di questa città è stato offensivo ed arrogante.

Quando in alcuni ci opponiamo con sdegno e disgusto a questa pratica, riceviamo in cambio ampia solidarietà dalle realtà sociali cittadine e dalle migliaia di persone che avevano appoggiato il nostro tentativo, e alla nostra richiesta di dialogo ci viene, all’improvviso, risposto con uno sgombero di polizia, improvviso e immotivato, che ancora vede 12 persone accusate in modo ridicolo di “occupazione a scopo abitativo”, come se quegli spazi di vendita ed esposizione potessero magicamente trasformarsi in eleganti villette unifamiliari.

Oggi all’interno del Consorzio che gestisce la Città dell’Altraeconomia c’è una cooperativa il cui presidente è indagato per reati mafiosi e fu uno dei protagonisti di quel patto di spartizione. La stessa persona è vicepresidente del Consorzio di Gestione della CAE, guidato da Aiab Lazio.

Chi a suo tempo denunciò politicamente questa arroganza può oggi continuare a tenere alta la testa, perché nelle pagine dell’ipotesi accusatoria si arriva a elencare la CAE tra quelle realtà cooperative nelle quali, molto probabilmente, venivano “risciacquati” i proventi delle attività illecite della Mafia Romana, oppure costruiti documenti ad hoc per eludere fisco e legalità. Le attività giudiziarie dimostreranno se l’ipotesi è fondata, ma la sola citazione della CAE attuale tra pagine tanto inquietanti deve portare tutti quelli che, nella società e nelle istituzioni competenti credono necessaria un’altra economia, come strumento di un’altra società, di un futuro diverso per tutte e tutti, a fare le proprie considerazioni su che cosa, prevedibilmente, sia diventato quello spazio oggi, sulla validità formale e sostanziale dell’atto amministrativo che gli ha dato il presente che conosciamo, e ad agire di conseguenza.

E’, questo, l’ennesimo segnale per il mondo dell’economia sociale e solidale a Roma, che da anni e anche nei tempi recenti viene utilizzato dalla politica come vetrina per le proprie iniziative promozionali ed elettorali, oggetto di feste, fiere, siti web e ricerche pompose, di cui da anni diciamo di non aver bisogno, per essere, il giorno dopo, abbandonato e privato di ogni sostegno e ragionamento condiviso. Un allarme, che da oltre un anno stiamo segnalando anche alle attuali amministrazioni regionali e comunali, con poca fortuna, che deve fare riflettere loro come tutte le nostre esperienze, tutti coloro che per costruire un altro modello di economia non si piegano ad accettare il compromesso con un’economia predatoria e accentratrice ma che per questo hanno pagato e pagano un prezzo politico e materiale talmente alto che ha portato, a volte, alla cancellazione stessa di alcune esperienze.

E’ il momento, questo, di fare chiarezza. Di scegliere da che parte stare. Di dichiarare e, conseguentemente, agire per archiviare le pratiche del malaffare che hanno contaminato il nostro mondo. Chiediamo a tutte e tutti, nella società e in quel che resterà in piedi nelle istituzioni cittadine, di fare un passo avanti insieme, di censurare pubblicamente chi, nella politica e nell’economia sociale e solidale, si è prestato all’inciucio per prevalere sugli altri utilizzando la leva dell’arroganza e della violenza del malaffare cittadino. E di riaprire un cantiere partecipato di ragionamento e proposta su che cosa vuol dire fare Altra economia in città, e nell’Italia intera, emarginando tutto quello che si è confermato agire e pensare come il peggio della vecchia speculazione che siamo nati per superare.

 

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