La prima volta che siamo andati su in Val Samoggia c’era una nebbia boia. Che poi spesso ho pensato: io me la ricordo così perché sono un terrone ed erano pochi mesi che stavo a Bologna e giù al sud una nebbia così… insomma io stavo guidando e mi blocco su una piazzola di sosta: “con questa nebbia non è il caso di proseguire” faccio all’autista dell’altra auto (eravamo in sette-otto divisi in due macchine); quello, uno che veniva da una valle del nord, un quasi crucco, mi fa una irrispettosa risata in faccia: “mettiti dietro e seguimi” e mi fa strada. Mi sono sempre chiesto come sarebbe andata la storia se fossimo tornati indietro…

Andavamo su a fare una proposta: un mercato contadino autogestito. Eravamo stati all’iniziativa sulla sovranità alimentare organizzata da “quei contadini” e avevamo sentito una forte affinità, noi che più urbani non potevamo essere. Ma i temi erano quelli: ogm, brevetti, alimentazione.

A Ca’ Battistini c’era il camino acceso; noi, semicerchio intorno al fuoco, illustrammo la cosa (mettendoci più parole del dovuto come ogni prolisso attivista avrebbe fatto in quegli anni, e pure mo’). Alla fine Carlo, seduto su un grosso sedione che scricchiolava sotto il suo peso, disse: “ è una proposta molto interessante, facciamolo”. Noi che eravamo abituati a lunghe assemblee piene di distinguo, di stupide sottigliezze, di retoriche vaporose, di decisioni prodotte a forza di estenuanti mediazioni, fummo sinceramente spiazzati da tanta semplice concretezza.

C’è qualcosa di “sacro” in ogni atto fondativo: quello fu l’atto fondativo di quello che poi sarebbe diventato, anni dopo, CampiAperti. “Facciamolo”.

Al netto di tutta la mitologia, i primi mesi non furono semplici: la cosa, a passare dalle dichiarazioni di principio ai fatti, era tutta da inventare. Fare un mercato classico? Ispirarsi ai gruppi d’acquisto? Una assemblea ogni mercato? Quando l’assemblea? Prima o dopo lo “scambio”? Ecc.

E poi, il domandone: dove? Dove fare questo esperimento?

I primi tempi fummo nomadi, talmente nomadi che qualcuno, scherzando, parlò di rave market. Per alcune settimane il mercato si tenne anche all’ingresso del Covo, il noto locale bolognese. Non poteva andare così: un mercato senza sede fissa sarebbe rimasto per sempre un mercato di attivisti disposti a spostarsi per la città per fare la spesa, ma noi non volevamo fare un mercato di attivisti. Ma anche prendere una sede qualunque non andava bene: noi parlavamo di radicchio buono certo, ma anche di produzioni e consumi per la trasformazione sociale…

Qualcuno propose: “andiamo all’XM”; qualcuno rispose: “da quei fricchettoni? Mai”. La discussione fu lunga e per fortuna scalfì l’ortodossia di quelli che vedevano in Xm un covo di “edonismo senza politica” (mi viene da ridere ma qualcuno disse proprio così). In effetti era un gran casino: più che un centro sociale classico era un condominio di esperienze anche profondamente diverse tra loro, faticosamente dialoganti; i “vecchi” compagni disciplinati accanto agli sbarbi festaioli, l’ordinata scuola di italiano per i migranti, la ciclofficina delirante, la sede della libera università. Il tutto in salsa estetica post industriale/trash: a metà strada tra Andea Pazienza e Pierino.

Detta così sembra un orrore e invece fu accoglienza. L’accoglienza di chi ti fa sentire a casa, e quando sei a casa ti prendi il calore familiare ma anche le beghe. È giusto così. Molti dei contadini che intanto si avvicinavano al mercato non avevano mai messo piede in un centro sociale (ma anche molti attivisti di Xm non avevano mai “visto” un contadino vero); e anche tantissimi di quelli che oggi chiamiamo coproduttori cominciarono a “varcare la soglia”.Quelli che parlano in maniera incomprensibile dicono meticciamento sociale.

Non è questa l’idea di fare società? Certo faticosa, lenta, con tentennamenti e errori. Ma non esistono scorciatoie. I quartieri popolari della città dovrebbero avere ancora più luoghi come questo in qui si mischiano “italiani” e “stranieri”, vecchi e giovani, adulti e bambini. Anche “scoppiati” e “sani di mente” (perché no?).

Io direi questo a quegli abitanti della Bolognina che ancora passando storcono il naso: Xm24 è uno spazio pubblico autogestito. In questo senso è (anche) di tutti voi. Entrate. È un pezzo del nostro quartiere, ha dei difetti e dei pregi ma se rimanete fuori non affrontate i primi e non godete dei secondi. Non fatevi fermare da un po’ di nebbia.

un coproduttore

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