2014-10-08-17Virgilio, padre delle Georgiche, sarebbe stato certamente fiero di loro: un gruppo di contadini a cui piace
coltivare senza avvelenare il terreno e vivere del prodotto del proprio lavoro.
Campi Aperti è un’associazione per la sovranità alimentare come recita la Carta dei Principi . Si tratta, cioè, di un incontro tra produttori e consumatori che rigettano la capitalizzazione dell’attività agricola e promuovono la coltivazione biologica e il commercio a filiera corta favorendo non solo il rispetto della terra, grazie alla preservazione della territorialità e stagionalità dei prodotti, ma anche le relazioni tra chi produce cibo e chi lo consuma, senza intermediazioni di alcun tipo. I mercati si tengono dal martedì al venerdì in quattro centri sociali di Bologna: il VAG61, il LÀBAS, l’XM24 e presso la Scuola di Pace (inoltre, con l’assessore all’Economia e promozione della città Matteo Lepore, si sta cercando di aprirne un altro in Piazza Puntoni).
L’associazione, nata ufficialmente nel 2002 a Bologna, ha un Regolamento relativo ai modi di produzione, reperimento delle materie prime, autocertificazione dei prodotti ed etica del lavoro.
Ma ciò che la rende un’organizzazione democratica è l’assemblea di gestione del mercato che si tiene con cadenza bimestrale per autoconvocazione: oltre ad avere funzione di vigilanza delle aziende agricole aderenti, riunisce i contadini e i consumatori interessati in un confronto su questioni logistiche, sulle regole di gestione, sull’ammissione di nuovi prodotti e/o produttori e altre necessità. Quando ci sono decisioni da prendere, dopo innumerevoli discussioni (che si sviluppano attorno ad un tema su cui ognuno può intervenire per alzata di mano durante le riunioni o nelle mailing list), si utilizza il metodo del consenso e, se non si trova l’accordo, si procede alla votazione per maggioranza dei presenti (in 12 anni solo 3-4 volte). “Il voto per maggioranza è una sconfitta perché crea una minoranza;” ammette Domenico Fantini, che si occupa di amministrazione per Campi Aperti, “perché significa che non siamo riusciti ad arrivare ad una conclusione comune”. Ogni assemblea viene, inoltre, puntualmente verbalizzata e pubblicata sul sito.
L’esperimento ormai consolidato di garanzia partecipata permette a tutti i soggetti coinvolti, dai produttori ai consumatori, di controllare la qualità e la provenienza dei prodotti sul banco. È uno strumento utilissimo per individuare i furbi che lucrano su merci che non sono di produzione propria ma di chissà quale origine; ognuno è responsabile dell’affidabilità di ciascuno.
Moltissime sono le iniziative che spesso si affiancano e collaborano in un tale ambiente di reciproco scambio: laboratori di teatro e musica per bambini, conferenze, spettacoli, libri e anche un giornale dell’associazione.
Infine c’è Genuino Clandestino, campagna avviata subito dopo la regolarizzazione dei mercati avvenuta attraverso dei bandi comunali nel 2010, che ha l’obbiettivo di denunciare le norme che rendono equiparabili i prodotti trasformati dai contadini a quelli realizzati in grandi industrie alimentari e che dichiarano i primi fuorilegge poiché non rispettosi dei vincoli igienico-sanitari validi per qualsiasi attività di produzione a prescindere dall’entità della produzione e dalle modalità di lavorazione (per intenderci: il pane o le marmellate fatte in casa non potrebbero essere vendute ai mercati). Non avendo i mezzi necessari a dotarsi di un laboratorio convenzionato, i clandestini (aggettivo non casuale) hanno dunque deciso di indicare nei loro mercati quali sono i prodotti a norma della legge italiana e quali no, ma comunque genuini e affidabili (circa un 20% sono banditi). L’iniziativa ha riscosso numerose adesioni da parte di altre realtà agricole, in tutta Italia, aventi gli stessi problemi tanto da farne un movimento nazionale per l’agricoltura biologica e contadina che annualmente si riunisce per aggiornarsi, crescere e creare nuovi progetti comuni.
Oggi si fa un gran parlare del biologico tanto che anche grosse multinazionali del cibo si avvalgono di questa parola (vedasi il colossale progetto F.I.CO, con l’obbiettivo di relegare la dimensione contadina in uno spazio ristretto e cementificato ); <> dichiara Michele Caravita, uno dei fondatori di Campi Aperti, in occasione dell’ultima riunione Genuino Clandestino tenutasi a Pesaro.
Il punto cruciale sul quale si va sempre a cadere è la questione prezzi; sono alti e non proprio accessibili a tutti (specialmente agli studenti fuori-sede, tipico esempio di consumatore squattrinato) e sembra che ci si debba sempre dividere tra chi può permettersi un certo stile di vita e chi no. Filippo, produttore, risponde: << la domanda è come mai i prodotti Coop costino così poco; noi ci riuniamo periodicamente per stabilire dei prezzi che possano consentire il sostentamento del contadino e contemporaneamente soddisfare le esigenze “economiche” del maggior numero di persone possibile>>. Si tratta inoltre di invitare il consumatore a ragionare su quello che mangia:<< Dietro i nostri prodotti non c’è sfruttamento del lavoro e della terra>>. E La risposta di Domenico chiarisce: <<È il governo che deve favorire le condizioni per permettere allo studente di poter acquistare biologico. Campi Aperti parte dalla macro-area dell’alimentare ma va a toccare inevitabilmente tutti gli aspetti sociali della vita delle persone>>.
Quali sono i numeri di Campi Aperti? Si parla di un centinaio di aziende agricole tra i produttori; 200-500 persone per mercato tra coproduttori e clienti; altre 200 coi GAS (Gruppi Acquisto Solidale) di Marzabotto.
La crescita del fatturato totale dei mercati è stata imponente: dai 200mila euro di due anni fa agli 800mila di quest’anno. Cifre che attestano che un altro modello di economia è possibile, funziona perché basato sulla fiducia tra le persone. La domanda aperta che resta è: come cambierà Campi Aperti se dovesse ingrandirsi ancora? Di certo non si può che vedere come qui si vada ben oltre gli ideali georgici di vita: Carlo, Germana e Michele, i fondatori, hanno creato un modello di organizzazione politica, economica, sociale e culturale “fuori dal comune”, cioè fuori dalle ordinarie strutture istituzionali di ciascun ambito, ma sempre all’interno di regole ben precise e condivise. E in un Paese con un governo non democraticamente eletto come il nostro, Campi Aperti si presenta come una realtà nella quale l’esercizio della democrazia, intesa come regime fondata sull’opinione, sul confronto tra le opinioni, sulla formazione di un’opinione comune (come vorrebbe il buon Tucidide), è tale da essere paragonabile a quello delle poleis greche.
Alessia Melchiorre

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